29.6.08

il prodotto sociale

andare in giro per le strade
attraverso la città
le costruzioni
le luci
le case
guardare questo complesso di cose con sufficienza
impegnato nella gloriosa supervalutazione dell’io individuo

io come vanto di me superiore alla gente generica e odiosa

ma quanta arroganza và trovata in questo
nel guardare al mondo come dato di fatto e
non come prodotto sociale

una città di cartapesta per la gioia individualista
il turista dell’io e pochi pensieri
così chiari
così superiori che
forse maleodori.

20.6.08

Gomma-ovatta

sei gomma-ovatta e mi sento solo nervi scoperti e freddo, io. 

6.6.08

in scatola

c’era da mettere ordine lì al negozio, dopo l’orario di chiusura.
risistemare scaffali e
riordinare conti e
altre cose del genere.
eravamo parecchi, divisi in due turni fino a tarda notte.
Gaddo propone una birra dopo il lavoro,
staccavamo insieme alle dieci perché
avevamo già lavorato tutto il giorno,
con noi chiamiamo anche Quolga.
erano le persone con cui scambiavo appena
qualcosa di più delle solite banalità tra colleghi,
ma comunque i nostri rapporti non
andavano al di là di qualche rara bevuta insieme.
forse ero io a partire con il piede sbagliato.
passo quelle ore al lavoro solo per prendere uno
stipendio e non morire di fame,
e in quelle ore non devo avere molto slancio comunicativo.
e nemmeno ci faccio più caso ormai.
Due chiare e una rossa, grazie.
Gaddo parlava male del direttore,
un azzimato signore sempre vestito di blu con
i capelli tinti e le scarpe beige lucido.
sempre critico nei confronti di tutti,
devotissimo al suo status di direttore del negozio.
sempre in anticipo la mattina,
sempre via tardi la sera.
quasi non volesse lasciare sola la sua amata filiale.
dissi che, come uomo, lo si poteva riassumere così:
“quando lavorate dovete pensare che siamo una
grande squadra il cui obiettivo è far funzionare
alla perfezione questa attività,
coccolare il cliente,
sprizzare efficienza e..
vendere vendere vendere”.
Gaddo diceva che esageravo, che
in fondo il direttore era una brava persona,
solo un po’ troppo gasata dal suo lavoro.
Gaddo sperava in un contratto annuale.
in fondo si trovava bene lì,
nonostante avesse firmato sempre e
solo contratti trimestrali da tre anni a questa parte.
come del resto tutti gli altri.
- è un modo di mettere alla prova la
validità delle persone -
diceva,
- e poi oggi come oggi le aziende sono
costrette a fare così -
e Quolga, dopo una lunga sorsata di birra chiara:
- è vero, e poi oggi è tutto flessibile,
il lavoro è cambiato,
non siamo più a dieci anni fa.
bisogna solo abituarsi -
- certo che non siamo più a dieci anni fa! -
dissi
- i metodi si sono raffinati,
e ora chi lavora è più mansueto, forse,
ma lo schifo resta sempre lo stesso -
non finisco nemmeno la frase che mi rispondono che
sono il solito comunistoide scassapalle e che
in realtà non mi và di lavorare.
forse hanno ragione,
non mi và di lavorare.
parlano ancora di orari e turni di lavoro,
domani Quolga deve alzarsi presto che
deve aprire e stare alla cassa,
Gaddo farà le consegne il pomeriggio, con me.
resto un po’ a fissare la mia pinta vuota,
a pensare a cosa sbaglio nel mio rapporto con
tutto questo sistema del cazzo.
- allora ciao Desto, ci vediamo domani.
e vai piano con quella moto! -
certo, sì.
vado piano.
chi và piano và sano e..
vabè.
arrivo a casa, parcheggio la moto.
solo adesso mi rendo conto che ho
la testa leggermente vagolante di alcool.
vado verso il portone di casa e vedo questo
foglio attaccato al muro,
sopra a uno stupido manifesto elettorale:
“incredibile.
il giorno in cui sei nato.
un giorno come un altro ed
eccoti piovuto qui.
una situazione come un’altra,
dei genitori,
una casa tra tante..
definito profondamente da una casualità di combinazioni,
venuto da chissà dove,
in questo posto e non altrove.
ora.
camminare,
parlare,
crescere.
e poi comunicare,
con le altre esistenze ad esempio.
amare, respirare.
una vita
in un mare di vite possibili.
spero non sia il vostro caso, eppure per molti
viene il momento in cui la vita non stupisce più.
è difficile rendersene conto.
è un processo raffinato ed indolore.
auto inscatolamento.”

2.6.08

il lenzuolo

era lì in piedi che sembrava non poter stare in nessun posto.
irrequieto?
no era solo fermo, fumava con calma
obliquo rispetto al mondo attorno ma
senza farlo di proposito.
capitava così, solo che capitava sempre.
un po’ come rigirarsi in un enorme lenzuolo e non riuscire a liberarsi.
eccolo: con calma si gira attorno, e guarda.
e allora il cielo sembrava solo uno sfondo pitturato male.
il cielo... trovarselo sotto le scarpe non
avrebbe fatto molta differenza per lui.
sì, dovreste sedervi a terra e ascoltare una di quelle canzoni
le ultime canzoni di certi dischi
quelle canzoni hanno il cielo sotto le scarpe.
e guardando le nuvole che vi corrono sopra
forse capirete quale sensazione, cosa.
sembrava davvero non poter stare.
anzi: “non poteva stare”, tutto qua.
si muoveva con calma, e non avrebbe avuto senso in ogni caso.
neanche sottosopra.


Imogen Cunningham - The Unmade Bed - 1957

self-piaciuti

tutti compresi e compiaciuti di sè
anche un po’ forzati, caricature di se stessi.
oltretutto si prendono sul serio più di quanto è utile


Van Gogh - i mangiatori di patate (the potato eaters)

non!

ecco, questo non vorrei, che
la realtà infine schiacci i sogni
bianchi origami carta di riso
sotto il piede metallo.
questo non voglio.