31.7.08
in modo eccezionale
sulle pareti cammino e
cado
sul soffitto il pavimento
sopra la testa
la testa
tutto bianco muto
denso
se potessi esplodere in modo eccezionale
un pugno contro il vetro
e starmi lì a guardare.
30.7.08
la forma
ascoltavo a un tratto il simbolo,
al posto del sentire.
come guardavo il pollice e
l’altro occhio chiuso.
adesso oltre il suono e
l’emotivo di nervi scoccati dall’unisono,
oltre il resto che
a questa sera impanne di già bastava.
eccolo il parto di
una sofferente istanza del marcio nostro sociale:
cercare forma al disagio,
liquido scuro di tempesta di mare
in bianco e nero,
tanto sufficiente a quelle parole tragiche e
al loro affiorare nettissimo.
il canto drammatico e
il suono tessuto,
dove tutto tornava immerso e redivivo di nuovo.
e di segni stringenti al cuore,
anche solo un pò disposto.
29.7.08
al centro e intorno niente
l’artista scultore
che voleva scoprire il terrore
una notte si alza e
scende nel suo laboratorio
dove stava lavorando alla sua
ultima e più grande fatica.
la mattina sua moglie
lo trova morto nel laboratorio
aveva gli occhi aperti
sbarrati
vuoti
come spavento.
la stanza era bianca
tutta bianca e
piena di luce
un guscio di luce
e al centro e intorno
niente.
28.7.08
mille le vite dentro i suoi occhi
le undici e salgo sul treno, parte tra poco.
la stazione di sera mi sembra surreale.
sistemo la borsa vicino al mio posto e vado in corridoio,
affacciato al finestrino aspettando che il treno parta.
sono un po’ stanco, credo che farò una bella dormita,
il treno di notte mi ha sempre conciliato il sonno.
ci si comincia a muovere,
resto a guardare mentre il treno attraversa la città,
che poco alla volta lascia il posto a prati e campagna.
sono rilassato, quasi spensierato.
entro nello scompartimento,
sono solo a quanto pare.
mi sistemo sulla cuccetta e dopo pochi minuti mi addormento.
sono sdraiato sul letto.
è la mia stanza di quando avevo sedici anni,
la riconosco.
c’è qualcosa di strano,
tutto ha qualcosa di artificiale,
c’è una sensazione di rigidità diffusa.
sento caldo.
la penombra sembra schiacciare le pareti.
non mi muovo, sono fermo.
non c’è suono,
un silenzio impossibile.
la porta si apre lenta.
dal corridoio una strana luce fredda.
entra un uomo vestito di bianco.
seta bianca come la luce.
si avvicina..
eppure è immobile..
non saprei dire.
l’aria, ora, acquista una calma assoluta.
vedo.
è un viso senza espressione.
coperto di cerone,
occhi cerchiati di verde smeraldo.
è inquietante, ma non ne sono turbato.
mi guarda.. o forse mi guarda attraverso.
oltre di me.
guarda e scruta.. per un tempo che non so definire.
non riesco a muovermi.
il suo sguardo ha una forza antica.
sapiente.
accecante.
fluisce di me e dentro di me
e mille le vite dentro i suoi occhi.
porta risposte non comunicabili che con il silenzio.
vuole svegliarmi, lo so.
dal finestrino del treno entra un po’ di fresco,
scendo dalla cuccetta e vado nel corridoio.
passo davanti agli altri scompartimenti,
tutti dormono.
arrivo alla fine del vagone, lì dove il rumore del treno è più forte.
apro un finestrino,
penso allo strano sogno di prima.
il rumore del treno è così regolare..
io, veloce sulle rotaie.
fuori la notte fresca, e la luna che scruta.
in mattinata arrivo in città.
Deblo mi aspetta per le quattro del pomeriggio,
ho tutto il tempo per girare un po’.
lascio lo zaino in stazione, esco.
una bella giornata di maggio,
un bel sole e non troppo traffico in giro.
dopo qualche girovagare mi fermo in un piccolo parco,
mi siedo sotto un pino.
c’è un po’ di gente, una mamma con carrozzina,
un signore anziano con gazzetta dello sport sotto il braccio
che chiacchiera con altri signori anziani,
una coppia con cane,
una coppia senza cane,
due ragazzi mal mimetizzati accinti ad
arrotolare il santo joint mattiniero dopo la sega a scuola.
mi sentivo leggero,
leggero,
leggero.
26.7.08
screensaver
l’aumento medio del livello di istruzione nella popolazione,
in varie tonalità di grigio.
guardate lui, tra l'altro:
37 anni di inattività.
è anche partito il salvaschermo.
25.7.08
soffiarsi via
guido preciso,
curve.
le ruote veloci profili e
traiettorie.
aria dal finestrino,
in macchina gente che parla.
devo arrivare a quel fiume.
e c’è quella canzone in testa,
che bella.
strada asfalto striscia bianco
molto bianco, sì
che viene da guidare precisi.
rallento accosto
fermo la macchina sul ciglio
scendo
respiro.
oh ma che fai? perchè ti sei fermato? ma dove vai?
mi allontano
mi siedo su un muretto
prato, prato e prato davanti
erba, piccoli fiori alberi una collina
respiro
c’è silenzio, quasi silenzio..
voglia di soffiarsi via.
21.7.08
era chiaro che si aprivano porte
gialle luci
fioche di lampioni
stanchi
mostravano vicoli
deserti
ai nostri occhi
rapidi e vagolanti.
passi sbilenchi sul
selciato scalpitare
nelle teste annebbiate.
tutto intorno si muoveva lento e ovattato.
abbiamo voltato angoli
sbagliato strade e poi
salito scale
annusato case.
era chiaro che si aprivano porte
scorrevano volti nuovi e facce solite
davanti ai nostri occhi
rapidi e vagolanti
mentre la notte fuori
stanca di noi
lasciava.
10.7.08
perdute
sta cambiando,
o qualcosa già è cambiato.
torno a questa stanza,
quella della luce calda del sole.
tra gli alberi, dalla finestra.
quest'aria tiepida che
non sò dire se inganna o se
è questione di rapporto con il calore.
voi non ci siete più come prima.
ci siate mai stati perdavvero.
sento di aver perso,
ed è una forma di solitudine:
ti prende così e così si risolve,
da sola.
8.7.08
il giusto
cosa c’è di giusto non è dato sapere
conta il calore.
libero di non essere incollato
a terra
libero di sentire l’aria
sul viso.
cosa è giusto non è dato sapere.
conta il calore.
libero di non essere incollato
a terra
libero di sentire l’aria
sul viso.
cosa è giusto non è dato sapere.
6.7.08
suonarsi
anima in musica
improvvisazione
il "fine a se stesso”
e puoi vedere un’umanità che
attraverso il suono è protesa verso
l’attraente inafferabile.
circondare di note il cerchio
il perfetto e sovraumano
cercare i bordi girando attorno
cercare la forma
ogni giro più precisi.
percorrere gli infiniti numeri che
esistono tra un numero e l’altro.
la certezza che ha una mèta impossibile.
e il percorso, sì,
afferrando nient’altro che bellezza.
improvvisazione
il "fine a se stesso”
e puoi vedere un’umanità che
attraverso il suono è protesa verso
l’attraente inafferabile.
circondare di note il cerchio
il perfetto e sovraumano
cercare i bordi girando attorno
cercare la forma
ogni giro più precisi.
percorrere gli infiniti numeri che
esistono tra un numero e l’altro.
la certezza che ha una mèta impossibile.
e il percorso, sì,
afferrando nient’altro che bellezza.
sogno
sono in piedi
sopra soffitto grigio
sotto pavimento grigio
oltre a me uno spazio vasto e disperso
senza colore.
intorno solo l’immobile presenza del nulla.
sembra un enorme stanza
una gabbia?
senza porte, né mura, né guardie.
cammino a lungo
arrivo al confine
finisce il pavimento.
sbarre invisibili
che non posso o non voglio superare.
oltre, abbagliante, il mare.
azzurro di sole.
4.7.08
blush
il viso mutava spesso colore seguendo
improvvise torsioni dell’anima.
sensibile al minimo contatto come
lumaca che ritrae rapida l’antenna e
il minuscolo occhio appena
sfiorato
improvvise torsioni dell’anima.
sensibile al minimo contatto come
lumaca che ritrae rapida l’antenna e
il minuscolo occhio appena
sfiorato
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