6.6.08

in scatola

c’era da mettere ordine lì al negozio, dopo l’orario di chiusura.
risistemare scaffali e
riordinare conti e
altre cose del genere.
eravamo parecchi, divisi in due turni fino a tarda notte.
Gaddo propone una birra dopo il lavoro,
staccavamo insieme alle dieci perché
avevamo già lavorato tutto il giorno,
con noi chiamiamo anche Quolga.
erano le persone con cui scambiavo appena
qualcosa di più delle solite banalità tra colleghi,
ma comunque i nostri rapporti non
andavano al di là di qualche rara bevuta insieme.
forse ero io a partire con il piede sbagliato.
passo quelle ore al lavoro solo per prendere uno
stipendio e non morire di fame,
e in quelle ore non devo avere molto slancio comunicativo.
e nemmeno ci faccio più caso ormai.
Due chiare e una rossa, grazie.
Gaddo parlava male del direttore,
un azzimato signore sempre vestito di blu con
i capelli tinti e le scarpe beige lucido.
sempre critico nei confronti di tutti,
devotissimo al suo status di direttore del negozio.
sempre in anticipo la mattina,
sempre via tardi la sera.
quasi non volesse lasciare sola la sua amata filiale.
dissi che, come uomo, lo si poteva riassumere così:
“quando lavorate dovete pensare che siamo una
grande squadra il cui obiettivo è far funzionare
alla perfezione questa attività,
coccolare il cliente,
sprizzare efficienza e..
vendere vendere vendere”.
Gaddo diceva che esageravo, che
in fondo il direttore era una brava persona,
solo un po’ troppo gasata dal suo lavoro.
Gaddo sperava in un contratto annuale.
in fondo si trovava bene lì,
nonostante avesse firmato sempre e
solo contratti trimestrali da tre anni a questa parte.
come del resto tutti gli altri.
- è un modo di mettere alla prova la
validità delle persone -
diceva,
- e poi oggi come oggi le aziende sono
costrette a fare così -
e Quolga, dopo una lunga sorsata di birra chiara:
- è vero, e poi oggi è tutto flessibile,
il lavoro è cambiato,
non siamo più a dieci anni fa.
bisogna solo abituarsi -
- certo che non siamo più a dieci anni fa! -
dissi
- i metodi si sono raffinati,
e ora chi lavora è più mansueto, forse,
ma lo schifo resta sempre lo stesso -
non finisco nemmeno la frase che mi rispondono che
sono il solito comunistoide scassapalle e che
in realtà non mi và di lavorare.
forse hanno ragione,
non mi và di lavorare.
parlano ancora di orari e turni di lavoro,
domani Quolga deve alzarsi presto che
deve aprire e stare alla cassa,
Gaddo farà le consegne il pomeriggio, con me.
resto un po’ a fissare la mia pinta vuota,
a pensare a cosa sbaglio nel mio rapporto con
tutto questo sistema del cazzo.
- allora ciao Desto, ci vediamo domani.
e vai piano con quella moto! -
certo, sì.
vado piano.
chi và piano và sano e..
vabè.
arrivo a casa, parcheggio la moto.
solo adesso mi rendo conto che ho
la testa leggermente vagolante di alcool.
vado verso il portone di casa e vedo questo
foglio attaccato al muro,
sopra a uno stupido manifesto elettorale:
“incredibile.
il giorno in cui sei nato.
un giorno come un altro ed
eccoti piovuto qui.
una situazione come un’altra,
dei genitori,
una casa tra tante..
definito profondamente da una casualità di combinazioni,
venuto da chissà dove,
in questo posto e non altrove.
ora.
camminare,
parlare,
crescere.
e poi comunicare,
con le altre esistenze ad esempio.
amare, respirare.
una vita
in un mare di vite possibili.
spero non sia il vostro caso, eppure per molti
viene il momento in cui la vita non stupisce più.
è difficile rendersene conto.
è un processo raffinato ed indolore.
auto inscatolamento.”

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